Pizza al padellino: tutto sulla specialità torinese
Se pensate che la napoletana sia l’unica degna di essere preparata vi dovrete ricredere: ecco cosa si nasconde dietro la pizza al padellino.
Al trancio, al metro, fritta: sono tutti termini comunemente utilizzati che identificano diverse tipologie di pizza. Ma avete mai sentito parlare della pizza al padellino? Nota anche come pizza al tegamino, si tratta (insieme a quella al mattone) di una preparazione tutta torinese che si discosta - in parte - dall’idea che tutti abbiamo del tradizionale disco di pasta lievitata.
Cotta in un padellino, la sua preparazione prevede una serie di step da rispettare rigorosamente per ottenere una pizza da leccarsi i baffi. Nata sul finire degli anni ‘70, è stata la protagonista indiscussa della gastronomia della città, almeno prima che si diffondesse, anche a Torino, la pizza napoletana. Da questo momento, infatti, perse parte della sua popolarità che sta, tuttavia, recuperando in questi ultimi anni.
La tradizione vuole che la pizza al padellino venga preceduta dalla farinata: è consuetudine, infatti, dividerne una in due piuttosto che dover rinunciare alla seconda. Si tratta di due street food tra i quali sarebbe veramente difficile decidere.
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Cos'è la pizza al padellino
Per i torinesi è quasi un’istituzione, tanto da essere stata al centro di un assiduo tentativo di difesa contro il primato della napoletana. Specialità torinese, si presenta come una pizza di piccole dimensioni (il diametro non supera i 20 cm), alta e soffice per via dell’inevitabile seconda lievitazione che avviene all’interno del tegamino. Non possiede il classico cordone, viene condita a piacere, e si cuoce più velocemente. Il suo impasto contiene una dose maggiore di acqua, il che la rende decisamente più morbida. La lievitazione è anche più lunga in quanto i padellini vengono conservati in frigo per diverse ore. Sofficità, altezza e croccantezza sono, in definitiva, le sue caratteristiche principali.
Le origini
Introvabile in qualsiasi altra regione, la pizza al padellino sarebbe nata dalla “fretta” di un pizzaiolo piemontese il quale, nel tentativo di far fronte ai ritmi frenetici di una grande città, era solito preparare le pizze, già condite, in delle teglie molto più piccole del solito in modo da averle sempre pronte da infornare. Così facendo si accorse che, una volta cotte, risultavano alte, croccanti e dorate su fondo e bordi e morbide al centro. Insomma, una pizza rustica (può essere considerata un incrocio tra la napoletana ed una focaccia) veramente allettante la cui richiesta prese piede in poco tempo.
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La lievitazione
La differenza più evidente rispetto alla pizza tradizionale sta nella seconda lievitazione, che avviene dentro il contenitore nel quale viene poi cotta. L’impasto, già lievitato, viene porzionato, distribuito nei singoli padellini e condito con la sola passata di pomodoro. A questo punto si conserva in un luogo fresco per non meno di 12 ore (in alcune pizzerie anche 24).
Operazione preliminare sta nell’ungere con attenzione il padellino in maniera uniforme con dell’olio di semi per il duplice scopo di evitare che l’impasto si attacchi sul fondo ed ottenere, anche sui bordi, una fragranza simile a quella regalata dalla frittura.
In quanto ai condimenti, se la margherita continua a mettere tutti d’accordo con il mix di pomodoro, mozzarella e basilico, non mancano varianti degne di essere testate. Tra queste, quella con la mozzarella di bufala, quella con cipolla e zola, con salamino e mozzarella o con melanzane e ricotta salata.
Dove mangiarla
Torino sono numerosi i locali presso i quali poter gustare un’ottima pizza al padellino. Tra questi ce ne sono due che portano lo stesso nome (Cecchi), ma che nulla hanno a che vedere l’uno con l’altro. Ci sono, poi, Cit ma bon, che si trova di fronte al Po e la Pizzeria da Gino, locale storico della città.
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